Italiani e viaggi di lavoro: qual è il limite tra tempo libero e professione?

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Sono sempre di più i lavori che richiedono la disponibilità a trasferte per lavoro. 

Questo ha sicuramente dei vantaggi, perché consente di vedere posti nuovi, non relegarsi alla vita d’ufficio e di avere anche l’opportunità di confrontarsi con colleghi e aziende con idee di gestione diverse dalle proprie.
Ci sono però anche delle controindicazioni, perché, per gestire al meglio i viaggi di lavoro è importante avere ben chiaro il limite tra tempo libero e professione.

Se non si riesce infatti a bilanciare lavoro e tempo personale si possono avere delle conseguenze anche in termini di salute. Secondo l’Axa Mind Health Report 2023, condotto insieme a Ipsos, in Italia solo il 15% dei lavoratori dichiara di essere focalizzato sugli obiettivi professionali e sui traguardi da raggiungere, a fronte di una media globale del 67%. Bisogna lavorare molto sul welfare aziendale e sul coinvolgimento del personale nell’azienda, altro aspetto su cui in Italia siamo carenti. Scopriamo secondo quanto dicono anche le normative in merito, come poter conciliare al meglio tempo libero e professione.

Come valutare la trasferta nell’orario lavorativo

Per avere un quadro chiaro anche sulla gestione dei viaggi di lavoro, è fondamentale partire dall’analisi del proprio contratto di lavoro.

In Italia è il DL 66/2003 a stabilire la definizione di orario lavorativo e tutte le questioni connesse a questo tema. L’orario di lavoro è definito come il periodo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro nell’esercitare la sua mansione.

L’orario di lavoro è fissato a 40 ore settimanali, che possono arrivare fino a un massimo di 48 ore in 7 giorni, inclusi gli straordinari. Nel contratto può essere poi stabilito il luogo di lavoro in base al tipo di attività ed esigenze. È in questa parte del contratto che si inseriscono i viaggi di lavoro. In linea generale non sono considerate orario di lavoro le attività di preparazione al viaggio e il tempo impiegato per raggiungere la sede.
Nei casi di viaggi di lavoro però c’è la possibilità di avere un indennizzo o un rimborso spese, in base a quanto stabiliscono il contratto e il datore di lavoro.

Come funziona l’indennità di trasferta

L’indennità di trasferta è una cifra forfettaria corrisposta al lavoratore per oneri che sono oltre quanto stabilito dall’orario lavorativo e dal contratto. Solitamente viene calcolata con un importo giornaliero fisso a copertura di tutte le spese di trasferta.

Gli importi vengono gestiti in maniera libera dal dipendente che non è obbligato a fornire la documentazione delle spese. Oltre a queste cifre bisognerebbe informarsi sulla possibilità di un’assicurazione anche per i viaggi di lavoro, che si aggiunge a quella prevista dal normale contratto. Potrebbero infatti essere necessarie coperture sanitarie e protezione durante e dopo il viaggio non coperte dall’assicurazione standard dei lavoratori.

Come funziona il rimborso 

In alternativa all’indennità, si può stabilire anche un rimborso durante le trasferte, che avviene a posteriori, sulla base della rendicontazione delle spese del dipendente. Ci sono due tipologie di rimborso, analitico e misto. Nel primo caso viene richiesta una documentazione mediante scontrini e corrispettivi di ogni costo sostenuto, con un limite massimo di spesa stabilito in base al tipo di viaggio. Il rimborso misto invece prevede la concessione di una somma giornaliera al dipendente, che va giustificata da una nota spese per alcuni costi, come il trasporto.

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