Bullismo: la visione psicologica

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bullismo

Alla luce dei fatti di cronaca, che negli ultimi tempi con maggior frequenza stanno delineando un andamento sempre più preoccupante per la nostra società, vorrei soffermare la mia e vostra attenzione sul significato psicologico del del bullismo, sperando che una maggiore comprensione del fenomeno da questo punto di vista, possa ulteriormente favorirne il riconoscimento e le conseguenti azioni atte a combatterlo, in ogni luogo e contesto sociale e privato.

 Con il termine bullismo s’intende definire un comportamento aggressivo ripetitivo nei confronti di chi non è in grado di difendersi. Solitamente, i ruoli del bullismo sono ben definiti: da una parte c’è il bullo, colui che attua dei comportamenti violenti fisicamente e/o psicologicamente e dall’altra parte la vittima, colui che invece subisce tali atteggiamenti.

La sofferenza psicologica e l’esclusione sociale sono sperimentate molto spesso da bambini che, senza sceglierlo, si ritrovano a vestire il ruolo della vittima subendo ripetute umiliazioni da coloro che invece ricoprono il ruolo di bullo. Le principali caratteristiche che permettono di definire un episodio con l’etichetta “bullismo” sono l’intenzionalità del comportamento aggressivo agito, la sistematicità delle azioni aggressive fino a divenire persecutorie (non basta un episodio perché vi sia bullismo) e l’asimmetria di potere tra vittima e persecutore.

Ma, vi siete mai chiesti cosa induce un soggetto a comportarsi da bullo? E di contro, cosa determina che un soggetto sia vittima di episodi di bullismo? Diversi studi hanno messo in luce che un buon concetto di sé aiuta bambini e ragazzi a ottenere dei successi, sia a livello relazionale che di rendimento scolastico.

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Per concetto di sé si intende la teoria che ognuno sviluppa riguardo a se stesso; si riferisce alla percezione e alla cognizione delle proprie caratteristiche, alle credenze riguardo se stessi, le capacità, le impressioni, le opinioni che ogni individuo pensa di avere e che lo contraddistinguono dagli altri (Damon e Hart, 1982).

Il Concetto di sé è spesso affiancato al costrutto di Autostima, ma si tratta di due concetti ben diversi: il concetto di sé si focalizza sugli aspetti cognitivi del sé, su come ci si vede e ci si descrive nei vari ambiti della vita; l’autostima riguarda gli aspetti valutativi del sé, il valore che attribuiamo a noi stessi. E’ verosimile che un basso concetto di sé conduce alla vittimizzazione e che l’effetto di eventuali fattori di rischio è maggiore nei soggetti che hanno un basso concetto di sé e che si sentono inadeguati.

Ulteriori ricerche hanno indagato il concetto di sé in quei bambini e ragazzi che utilizzano condotte aggressive. E pare che questi mostrino un elevato concetto di sé, ma in realtà ciò non denota una buona immagine di sé, piuttosto un senso di narcisismo e un tentativo di sembrare ciò che non si è. Nel caso dei bulli, per esempio, sembrerebbe che il comportamento prepotente da essi attuato sia efficace a fargli guadagnare potere, ammirazione e attenzione e, in questo modo, migliorare poi l’immagine di sé.

Guardando al fenomeno da entrambe le posizioni, di bullo e vittima, essere vittime di episodi di bullismo da bambini è spiacevole nell’immediato, ma costituisce un fattore che aumenta il rischio di sviluppare diverse tipologie di disturbo oltre che nell’infanzia e nell’adolescenza anche nell’età adulta. Le vittime di bullismo nel passaggio dall’adolescenza alla giovane età adulta continuano a presentare in misura rilevante disturbi quali disturbo d’ansia generalizzato, disturbo da attacchi di panico, dipendenza, psicosi e depressione.

Ciò che è ancor meno noto è che non solo essere vittime di bullismo aumenta la probabilità dell’insorgenza di disturbi, ma anche l’essere bulli. Infatti, per coloro che in passato sono stati sia vittime che bulli (una vittima che è diventata a sua volta bullo o che è vittima nello stesso tempo di comportamenti di bullismo) incorre il rischio di sviluppare disturbi depressivi, disturbi da attacchi di panico. Per coloro che invece hanno caratterizzato il loro passato esclusivamente con il ruolo di bullo vi sarebbe un maggior rischio di sviluppare un disturbo antisociale della personalità.

                                    “Non è l’altezza, né il peso, né i muscoli che

                                     fanno una persona grande.

                                               Ma la sensibilità e l’umiltà che ha nel cuore.”

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