I Colli Albani, la vulcanicità e i rischi da non sottovalutare

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ATTUALITA’ – Che i Castelli Romani, così ricchi dal punto di vista paesaggistico e naturalistico, siano una zona dalle spiccate connotazioni vulcaniche è cosa nota. Tutta l’area poggia infatti sull’antica sede del Vulcano Laziale, un’imponente struttura geologica che ha eruttato attiva fino al IV secolo a.C., ora quiescente. Ed è proprio la sua quiescenza, ossia la non completa inattività, che risulta famigerata a chi vive ai Castelli, nel bene e nel male.

Senza la vulcanicità del territorio, infatti, i terreni di tutta l’area non sarebbero così fertili, e non produrrebbero – tanto per fare un esempio – le uve che contribuiscono alla preparazione dei famigerati vini locali. D’altro canto, piccole scosse sismiche, deformazioni del suolo e soprattutto emissioni di gas rappresentano il “risvolto negativo” della medaglia, nonché specificità da tenere in considerazione e con cui fare i conti.

Premesse necessarie per comprendere anche il recente fatto di cronaca che ha interessato la zona della via Anagnina all’altezza del civico 458, tra i Comuni di Grottaferrata, Frascati e Roma (Morena, in particolare), destando curiosità e preoccupazioni. Circa dieci giorni fa, infatti, una trivellazione all’interno di un cantiere edile ha provocato la fuoriuscita di acido solfidrico – o idrogeno solforato -, un composto altamente tossico e derivato dalla decomposizione delle proteine contenenti zolfo, da un pozzo artesiano.

Massicci gli interventi attuati per la messa in sicurezza. Per il contenimento della perdita, sono stati coinvolti Protezione civile, Vigili del fuoco, esperti dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia; il tratto dell’arteria stradale è stato chiuso e le abitazioni circostanti sono state evacuate. E proprio geologi e vulcanologi si sono resi necessari perché il fenomeno sembra essere strettamente legato all’antico super Vulcano, configurandosi come un suo “effetto collaterale”. Si è trattato, infatti, di un tipico esempio di degassamento, causato soprattutto dal prosciugamento sempre maggiore delle falde acquifere.

Ed è qui che, in qualche modo, entrano in gioco anche le attività umane. Se le falde vengono sfruttate oltre i loro limiti di sicurezza, o se i terreni di alcune aree, in una zona così ricca di attività nel sottosuolo, vengono scavati senza troppe precauzioni, i rischi di fuoriuscita di gas e fanghi vulcanici possono aumentare.

«Come già accaduto in precedenza – ha spiegato Fedora Quattrocchi, Dirigente di ricerca dell’Ingv – scavando nel terreno si può incontrare la presenza di pozzi di gas vulcanico, tipico della zona dei Colli Albani. Solo in quest’area della Provincia di Roma, da una mappatura effettuata, se ne trovano seicento. Visto il rischio presente – ha proseguito Quattrocchi – non basta coprire solo con una colata di cemento, ma occorre prevedere una copertura lasciando un “buco” per un monitoraggio preciso e puntuale sullo stato di depauperamento del suolo».

Rischi e fenomeni per cui l’Ingv ritiene necessaria l’attuazione capillare una serie di misure di prevenzione, volte anche a salvaguardare la salute dei cittadini. «Negli anni sono stati tanti gli studi condotti in questa zona del Lazio, ma sono rimasti nei cassetti della policy». Al di là degli allarmismi, dunque, sarebbe opportuno entrare in un’ottica di comprensione e rispetto del territorio che ci ospita e delle sue peculiarità, onde evitare di trovarsi a fronteggiare i problemi sempre dopo la loro comparsa.

Lorenzo Mattia Nespoli 

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